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Channel: Proverbi napoletani Archives - Vesuvio Live
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Dai piaceri della tavola a quelli del letto: 15 termini napoletani derivanti dal greco

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[caption id="attachment_367478" align="aligncenter" width="600"] “Bacco, Cerere e le Sirene Partenope, Igea e Leucosia con il dio Sebeto” - Paolo De Matteis[/caption] Non è l'Olimpo di Zeus e degli altri dei pagani, ma di certo Napoli è senza dubbio una città greca: storia, mito e leggenda si fondono e confermano questa eziologica certezza. Basti pensare, ad esempio, all'etimologia del nome stesso: Neapolis, in greco nuova città. E' storia. In origine, però, il mito e la leggenda: Palepolis, la città vecchia. Ovvero Pathenope, figura anch'essa nata presso le genti d'Omero. Per chi avesse ancora dubbi, comunque, un ampio, succulento e sensuale (per non dire erotico) elenco di termini napoletani che derivano proprio dalla lingua greca, in particolare da quella antica. Nel dialetto napoletano, vera e propria lingua - poiché dotata di regole ben precise - non si può far a meno, infatti, di porre in rilievo l’etimologia di termini relativi a tutta una serie di aspetti diversi della nostra vita e del nostro modo di essere. A partire dal carattere molto solare ma anche un po' mutevole e malinconico del cittadino partenopeo. Troviamo così parole quali “pazziare”, che riproduce fedelmente il suono del verbo παίζω (paizo), il cui significato è “giocare, scherzare”; e “nzallanuto”, che deriva dal termine σεληνιάω (seleniào), letteralmente essere lunatico. Riferito sempre al modo di comportarsi è la parola "zimmaro", che sta per caprone, nel senso di zotico, villano, uomo dalle maniere poco gentili ed eleganti e che proviene da "χιμμάρος" (xìmaros), indicante appunto il maschio della capra. Vi sono poi parole che fanno riferimento all'economia: “accattare”, che foneticamente rimanda a κτάομαι (ktàomai), letteralmente “acquistare”; “putèca”, con cui oggi si intende negozio, ma la cui origine è da ricercarsi in ἀποθήκη (apothèke), in realtà una farmacia. Se comunque l'acquisto fatto dovesse risultare sgradito, si potrà sempre definirlo una “ciofèca”, la cui provenienza è da attribuirsi a κωφός (kofòs), letteralmente “sgradevole”. I più rancorosi e violenti potrebbero addirittura passare alle manieri forti e cominciare a schiaffeggiare il malcapitato rivenditore: anche “pacchero”, costituito da πᾶς (pàs), tutto, e χείρ (chèir), mano, - infatti - deriva dal greco e vuol dire "tutta la mano". La Grecia, dunque, da culla della civiltà a culla del dialetto napoletano (benché molte altre siano le lingue che hanno influenzato la nostra, spagnolo e  francese su tutte). In effetti è proprio a letto che l'influenza greca sembra dare il meglio di sé. Proverbiale il termine “pucchiacca”, espressione che nasce dall’unione di πῦρ (pùr), fuoco e κοῖλος (koilos), antro, ergo “antro di fuoco”. Meno famoso ma di grande effetto il “rafaniello”, la cui genesi si deve al verbo ῥαφανιδόω (rafanidòo), indicante una perversa pratica con cui si punivano gli adulteri. Infatti il vocabolo sta per “infilare un ravanello nell’ano”. Chiunque fosse colto in flagrante nel tradire la propria consorte veniva pubblicamente umiliato proprio con questa penitenza. Dai piaceri e dispiaceri del sesso a quelli della tavola. Diversi, in effetti, anche i termini napoletani derivanti dal greco per quel che riguarda gli alimenti. Termini specifici per la frutta, quali, "purtuallo", o "cresommola", ad esempio, hanno origine proprio dalla lingua ellenica. I greci chiamavano “portokalos” l’arancia, diventato poi "purtuallo" in napoletano. Stessa cosa dicasi per “crisòmmola”, composto da χρυσός (krusòs) che si traduce con “oro” e μῆλον (mèlon), “frutto”, e quindi “frutto d’oro”. Dalla frutta alla verdura il passo è breve: "petrusino", prezzemolo, deriva dal greco antico petroselinon (erba). Da segnalare anche “cantèro”, da κάνθαρος (kàntharos), con cui si soleva indicare una bacinella a forma di vaso da notte; e o' "mesale", la tovaglia, derivante da misalion, antico fazzoletto di stoffa. Tra le espressioni e non singole parole che ci hanno tramandato i nostri antenati greci anche il famoso "Piglià père", ovvero prendere fuoco, dall'antico πῦρ (a fuoco).

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‘O petrusino: perché in napoletano il prezzemolo si chiama così

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'O petrusino, dal latino petroselinum, è il prezzemolo, nota erba aromatica presente nella maggior parte delle salse e delle minestre della cucina napoletana. Il prezzemolo, con la sua “traduzione” napoletana, è da sempre oggetto anche di proverbi e modi di dire, che arricchiscono ulteriormente il già florido folklore partenopeo. Tanti certamente conosceranno il detto “petrusina ogni mmenesta”, riferito a chi si infila in ogni discussione anche se non gli riguarda. Anche in italiano , infatti, “prezzemolina” è una persona presente ovunque ma con l’accezione negativa di “invadente”. Ma ce ne sono altri ancora più significativi per la tradizione popolare, anche se forse meno conosciuti, come i seguenti: - Chello È bbello 'o petrusino va 'a gatta e nce piscia a coppa...; - Chella mmuglierema è bbella, ce vuó tu ca ‘a zennije. Il primo, letteralmente, vuol dire “il prezzemolo è bello, poi la gatta vi minge su”, espressione da intendersi in senso antifrastico: il prezzemolo non solo non è rigoglioso, poi la gatta vi minge anche sopra. Questo è il commento di chi si trova in una situazione precaria e non solo non riceve aiuto per migliorarla, ma si imbatte in chi la peggiora ulteriormente. Il secondo è ugualmente una riflessione amara, del tipo: "mia moglie è bella, e non è un fior di virtù, manca solo che tu le faccia dei cenni per indurla e sollecitarla al tradimento!". E il gioco di parole tra l'italiano e il dialetto lo ritroviamo anche nella vita di Joe Petrosino, agente di polizia italiano naturalizzato americano che visse nell'800 e che veniva deriso dai suoi connazionali per il suo cognome, che si avvicina molto alla versione dialettale della parola prezzemolo di alcuni gerghi meridionali: “Con Lu Petrosino la polizia americana diventerà più saporita ma resterà indigesta”, dicevano. Petrosino, inoltre, è anche un comune siciliano in provincia di Trapani, di circa 8mila abitanti. Come potrete notare, quindi, prezzemolo è un termine molto utilizzato non solo nel dialetto napoletano ma anche in altri dialetti meridionali. Vi lasciamo con la traduzione di prezzemolo nei dialetti del Sud Italia: Napoletano: petrusino Sicilianopirrusinu Pugliesepetrusinu Sardopedrusèmi Calabresepetrusinu Fonti: dialettando.com; wikiquote.org.

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E’ un nobile che vale due candele: il proverbio Napoletano spiegato da Alberto Angela

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[caption id="attachment_416001" align="aligncenter" width="600"]nobile due candele Screen Stanotte a Napoli[/caption] Sono tanti i modi di dire e i proverbi usati dai napoletani per racchiudere in poche parole concetti complessi. Ironia e genialità che nel corso dei secoli vengono tramandati di generazione in generazione e che raccontano come era la Napoli del passato.

SEI UN NOBILE CHE VALE DUE CANDELE: COME NASCE

Nel corso della puntata di 'Stanotte a Napoli' andata in onda la notte di Natale, Alberto Angela ha voluto spiegare un modo di dire tutto partenopeo: "Sei un nobile che vale due candele". Ma cosa vuol dire tale espressione? E' lo stesso conduttore a raccontarcelo mostrando le bellezze del Teatro San Carlo fatto costruire da Carlo di Borbone e i cui lavori finirono proprio nel giorno del suo onomastico. Come spiegato da Alberto Angela: "Oggi vedete delle luci elettriche artificiali che illuminano il Teatro, ma all'epoca c'erano tante candele, centinaia di candele che creavano una bellissima atmosfera. E c'era l'abitudine per ogni nobile di mettere delle candele davanti al proprio palco. E più c'erano candele, più era alto il grado di nobiltà di questa persona. Tanto è che a Napoli c'è ancora un'espressione che dice: "E' un nobile che vale due candele". Con questa espressione quindi si indicava un nobile non molto nobile, una persona che appunto metteva davanti al palco un numero esiguo di candele e che non era all'altezza del re.

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Aversa festeggia San Paolo, a lui è legato il detto: “Quando vedi i santi in argento è finita la processione”

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[caption id="attachment_418457" align="aligncenter" width="600"] Foto Fb Alfonso Golia[/caption] Oggi, 25 gennaio, la città di Aversa festeggia il Suo Santo Patrono San Paolo. A causa delle restrizioni per il covid, anche quest'anno non ci sarà la storica processione ma i cittadini potranno omaggiare il santo con un ricco programma di eventi.

AVERSA, OGGI SI FESTEGGIA SAN PAOLO: ORIGINI DI UN DETTO

A renderlo noto è il sindaco Alfonso Golia che in un post sul suo profilo Facebook spiega anche dove nasce un famoso detto partenopeo legato alla sua processione: "La festa della Conversione di San Paolo, Patrono della città, è insieme a quella della Madonna di Casaluce, la festività più sentita dai cittadini aversani. Come leggiamo nel programma delle Celebrazioni di quest’anno, il perdurare della pandemia non impedirà di celebrare con la dovuta solennità la Festa nella Chiesa Cattedrale. Mancherà la tradizionale processione per le vie della Città e che, almeno fino agli anni ottanta del secolo scorso, si svolgeva secondo un rigido cerimoniale sia nella disposizione dei partecipanti sia nel percorso che, all’inizio, ricalcava l’antico circuito perimetrale della città. La festa iniziava il giorno prima quando le statue dei Santi partecipanti alla processione venivano trasferiti dalle chiese di provenienza alla cattedrale dove rimanevano fino al giorno dopo. Il 25 gennai , poi, le statue sfilavano secondo l’importanza dei santi che rappresentavano. I busti in argento di San Donato e San Sebastiano precedevano quello di San Paolo, che chiudeva la processione. Da qui il detto aversano “ quando vedi i santi in argento è finita la processione “ , che si snodava sempre tra una ala di folla entusiasta e devota. Anche quest’anno, possiamo dire, che la festa è stata preceduta dal tradizionale vento di San Paolo. Tradizionale nelle famiglie è la preparazione della lasagna e delle palle di San Paolo, polpette nel cui impasto vengono aggiunti pinoli ed uva passa. San Paolo è strettamente legato alle origini di Aversa, l’antico villaggio Verzulus fu chiamato “ Sanctum Paulum ad Averze in onore e ricordo del suo passaggio per Aversa, La festa ci fa riscoprire ogni anno la devozione del popolo aversano verso il suo patrono e ci interroga sul nostro bisogno di conversione. E’ fondamentale mantenere viva questa tradizione perché in essa vivono la storia millenaria della città e le origini profondamente cristiane della nostra cultura. Del suo passaggio nel territorio aversano , Paolo di Tarso ha lasciato in eredità l’ annuncio e la testimonianza della trasformazione che l’incontro con Gesù ha fatto nella sua vita. Il messaggio dell’amore gratuito di Dio per l’uomo è un messaggio universale, rivolto a tutti gli uomini. Alla comunità religiosa il compito di annunciare questa parola, alla comunità civile quello di creare le condizioni per una vita dignitosa per tutti. Il mantenere e far comprendere il significato ed il valore di questa festa e delle nostre tradizioni ai giovani deve essere un impegno comune, affinché non vada perso questo patrimonio culturale e di Fede vissuta. Il messaggio di fratellanza che ne scaturisce sia per loro e per tutti noi una luce per comprendere i valori sacri della vita ed impegnarsi per una società più giusta e solidale. Buon San Paolo a tutti".

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Cosa significa l’antico proverbio napoletano nel Commissario Ricciardi: ”‘O Padreterno nun è mercante ca pava ‘o sabbato”

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Nella nuova puntata, andata in onda Lunedì del Commissario Ricciardi si recita un antico proverbio napoletano, " 'O Padreterno nun è mercante ca pava 'o sabbato". Il Commissario ha un dono soprannaturale, quello che definisce "il fatto", cioè vedere i fantasmi delle persone morte e sentire le loro ultime parole. Infatti, sarà la cartomante brutalmente uccisa a citare queste parole a Ricciardi che dovrà scoprirne il significato per risolvere il caso. Il Commissario però, non ne capisce il significato ed il perché di quelle parole pronunciate dalla donna poco prima di morire. Sarà il suo braccio destro ad aiutarlo a comprendere questo proverbio napoletano che letteralmente significa "Dio (il Padreterno) non è un mercante al quale si paga il sabato". Il brigadiere Raffaele Maione (Antonio Milo) spiega che questo proverbio significa che quello che fai prima o poi lo paghi. Se fai qualcosa il Padreterno ti punisce o ti premia come decide lui. Non c'è una scadenza precisa come i debiti degli uomini.  Il sabato era la giornata in cui anticamente venivano saldati i debiti settimanali. Quindi il detto, che affonda le sue radici nella cultura religiosa, vuole dire che Dio non è un mercante, non si può decidere quando "saldare il debito" con Lui. Sarà il Padreterno a presentarci il conto perciò bisogna vivere consapevoli che ogni azione avrà una sua conseguenza sia terrena che spirituale. Questo è quanto si nasconde dietro l'enigmatico proverbio napoletano pronunciato nel corso della puntata del 'Commissario Ricciardi'. La cartomante uccisa, si scopre essere anche un usuraio, una persona che imbrogliava la gente per ricavare un profitto. Infatti, raggira una ricca donna sposata tormentata dall'amore per un altro uomo che si faceva leggere le carte nel tentativo di trovare risposte. Quando però si rende conto che la donna è incinta decide di porre fine alla truffa perché appunto: " ' O Padreterno nun è mercante ca pava' o sabbato", anche se ormai è troppo tardi.

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“Spacca e mmette ô sole”: cosa significa l’antico proverbio napoletano

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pomodori secchi

Sono molti i proverbi napoletani che ad oggi sono conosciuti un po' in tutta Italia. D'altronde, il modo di dire partenopeo altro non è che la valvola di sfogo del popolo, un'espressione colorita, molto spesso cruda o anche tenera. Uno di questi è l'antico proverbio "Spacca e mmette ô sole", noto ormai a tutti, ed usato per molte situazioni differenti. Letto così e dando spazio all'immaginazione, i significati potrebbero essere tanti e differenti, ma scopriamo insieme cosa significa davvero e soprattutto da cosa deriva.

"Spacca e mmette ô sole": significato e da cosa deriva

L'espressione originariamente faceva riferimento ai contadini che usavano tagliare, cioè spaccare, pomodori o fichi ed esporli al sole per l'essiccazione. Di conseguenza, maggiore era la quantità di pomodori o fichi seccati e messi al sole, maggiore era la ricchezza del contadino e maggiore il vanto che ne derivava. Ad oggi, significa menar vanto di inesistenti e non conclamate ricchezze o anche meriti per davvero posseduti. Quindi, ci si riferisce a coloro che si vantano di avere o meno qualcosa di materiale o anche morale, dandosi così gloria a sproposito. In parole povere, ci si riferisce a colui che viene identificato con il termine di "gradasso", ovvero chi ostenta grandezza con ciò che ha, ciò che fa e anche di ciò che è. A tal proposito, un altro modo per definire una persona del genere è proprio "spaccone", che deriva proprio dal proverbio "spacca e mmette ô sole". Inoltre, altri termini sinonimi possono essere anche squarcione, granezzuso e così via. Fonti: - http://lellobrak.blogspot.com/

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‘O Ricco Pellone: cosa significa e chi è questo personaggio della lingua napoletana

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'O Ricco Pellone

La lingua napoletana con la vastità di antichissimi modi di dire rappresenta ancora oggi uno scrigno di conoscenze e saggezza. Tra le espressioni ricordiamo 'o ricco pellone, poco diffusa nella modernità, tramandata oralmente di generazione in generazione. I più anziani sicuramente almeno una volta nella vita avranno sentito questa espressione che ha origini bibliche. Per ricco pellone si intende una persona che ostenta le sue ricchezze e si ricollega ad una parabola del Vangelo di Luca.

'O RICCO PELLONE NEL VANGELO

Nella parabola di Gesù raccontata dal Vangelo di Luca (16,19-31) incontriamo due personaggi: il ricco Epulone ('o ricco pellone, ndr) e Lazzaro. Di seguito il passo: C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. 20 Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, 21 bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. 22 Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23 Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. 24 Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. 25 Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. 26 Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. 27 E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, 28 perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. 29 Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. 30 E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. 31 Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi».

'O Ricco Pellone, significato della parabola

Il passo evangelico come per ogni parabola divulga un insegnamento: l'esistenza del Paradiso ma anche del tormento dell'Inferno, così come si incita a seguire gli insegnamenti di Dio e di comunicare le sue volontà. Per questo motivo Lazzaro diviene il simbolo di povertà e di sofferenza che è sempre premiata da Dio quando si accetta e si spera nella sua Misericordia divina. FONTI: www.santiebeati.it; www.laparola.net

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Detto napoletano: ‘A femmena nun se sposa ‘o ciuccio pecché le straccia ‘e lenzole

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'A femmena nun se sposa 'o ciuccio pecché le straccia 'e lenzole

[caption id="attachment_441050" align="aligncenter" width="600"] Detto napoletano:'A femmena nun se sposa 'o ciuccio pecché le straccia 'e lenzole[/caption]  'A femmena nun se sposa 'o ciuccio pecché le straccia 'e lenzole. Si tratta di un antico detto napoletano che racconta la condizione delle donne nei tempi passati. Sesso femminile che col passare degli anni grazie alla cultura e ad una maggiore indipendenza economica è riuscito a liberarsi dalle catene dei matrimoni di convenienza economica. E il proverbio in questione spiega la sudditanza della donna nei confronti dell'uomo nell'epoca antica.

'A femmena nun se sposa 'o ciuccio pecché le straccia 'e lenzole. Cosa significa

La traduzione in italiano del detto è: La donna non si sposa con l'asino perché può stracciare le lenzuola. Il significato va incastrato nell'antichità quando la donna per emanciparsi e uscire dalla famiglia di origine che viveva in povertà aveva bisogno di sposarsi con un uomo capace di mantenerla economicamente. Per questo motivo non era un fatto straordinario la circostanza che donne giovani e anche molto belle si sposassero con uomini molto più avanti con l'età.

Il significato del ciuccio

In italiano possiamo tradurre la parola "ciuccio" in asino. Ritornando alle condizioni di povertà delle donne, queste ultime pur di vivere in condizioni di benessere avrebbero sposato chiunque glielo avrebbero consentito, addirittura anche un ciuccio. Se non fosse per la paura che le avrebbe strappato le lenzuola del letto con gli zoccoli.

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Unità di misura in napoletano: da nu filo d’uoglio a ‘na carta ‘e maccarune

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Unità di misura in napoletano

[caption id="attachment_441642" align="aligncenter" width="600"] Unità di misura in napoletano. Oliera napoletana[/caption] Unità di misura napoletane. La lingua partenopea oltre ai proverbi, fonti di eterna saggezza, nel suo meraviglioso scrigno di tesori conserva ancora dopo secoli di storia delle parole ed espressioni in uso nel linguaggio colloquiale e casalingo in grado di raccontare l'antichità applicata alla modernità durante una giornata di vita quotidiana. Ne è un esempio lampante quando esprimiamo le unità di misura per contare, pesare e misurare. Nu surzo 'e vino  Si fa riferimento ad una minima quantità di vino o di qualsiasi altra bevanda che è possibile ingerire rapidamente anche trattenendo il respiro. Surzo ha origine dal verbo latino "sorbere"che significa "bere". Nelle osterie anticamente si beveva soprattutto vino, serviti a tavola in fiaschi o in piccole bottiglie chiamate quartini. Nu filo d'uoglio Ancora oggi lo utilizziamo spesso quando si cucina. Questo modo di misurare la quantità di olio necessaria nel condimento o preparazione di un alimento trae origine dai pizzaioli napoletani che già molto tempo fa utilizzavano l'oliera napoletana. L'oggetto consente di la caduta a filo dell'olio. Nu panaro d'ova Questa espressione si è persa nel corso del tempo. Faceva riferimento all'ovaiola che vendeva le uova per strada contenute in un panaro, un cestino intrecciato in vimini. Invenzione tutta napoletana. 'Na nzerta 'e castagne Quando si parla di 'nzerta si intende in napoletano il ramo che si desidera innestare su una vecchia pianta. Deriva dal verbo latino "inserere" che significa appunto "inserire". Nel linguaggio tramandato negli anni è recepito come una fronda ricca di frutti. 'Na carta 'e maccarune Molto tempo fa i maccheroni venivano venduti sfusi o comunque a peso. Il salumiere li pesava e poi li incartava con le mani avvolgendoli in una carta pesante di colore azzurro. Non si sa di preciso "una carta" a quanto corrispondesse con ogni probabilità ogni carta 'e maccurune corrispondeva ad un chilo.

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Detto napoletano: ‘Na vota è prena, ‘na vota allatta e nun ‘a pozza mai vattere: cosa significa

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'Na vota è prena, 'na vota allatta e nun 'a pozza mai vattere

[caption id="attachment_441820" align="aligncenter" width="600"] Detto napoletano[/caption] Detto napoletano: 'Na vota è prena, 'na vota allatta e nun 'a pozza mai vattere. E' un antichissimo detto napoletano che, per fortuna, nel corso degli anni ha smarrito il suo significato originario per assumerne ai nostri tempi uno diverso.

Detto napoletano: la traduzione e il suo significato originario

E' abbastanza semplice tradurre in italiano l'espressione "Na vota è prena, 'na vota allatta e nun 'a pozza mai vattere": una volta è incinta, un'altra volta sta allattando e non posso mai picchiarla. Per comprenderne il senso è necessario scorrere molto indietro i fogli del calendario riportandoli ai tempi più antichi. Il sesso maschile dominava socialmente, economicamente e anche fisicamente la donna. Per questo motivo non erano rari i casi in cui il marito per l'unico scopo di dominare le azioni della moglie facesse ricorso all'uso della violenza. Solo quando la donna viveva lo stato di gravidanza o di allattamento si asteneva, pur di conservare l'integrità del figlio che ne aveva assoluta necessità di crescere e nutrirsi.

Cosa significa adesso

Sebbene in desuetudine nel linguaggio colloquiale e casalingo, qualche volta vi sarà capitato di ascoltarlo. L'espressione oggi fa riferimento a tutte quelle persone che pur di sottrarsi ad un impegno, ad una azione sgradita, adducono giustificazioni anche banali.

La condizione della donna

Nonostante la società e la cultura nei secoli sia andata a modificarsi, la condizione della donna sebbene mutata risulta ancora in un rapporto asimmetrico rispetto al sesso maschile. E ciò lo riscontriamo sia a livello sociale che economica. Non a caso oltre ai femminicidi in costante aumento, le donne faticano a trovare lavoro, spesso anche più precario.

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‘Na femmena e ‘na papera arrevutajeno Napule

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Na femmena e na papera arrevutajeno Napule

[caption id="attachment_442788" align="aligncenter" width="600"] Na femmena e na papera arrevutajeno Napule[/caption] 'Na femmena e 'na papera arrevutajeno Napule. Un antico proverbio napoletano ancora in uso nella modernità. La lingua napoletana del resto si contraddistingue per la sua versalità nel riuscire a trovare per ogni situazione della vita quotidiana una espressione tipica in grado di descriverne il suo significato più profondo.

'Na femmena e ìna papera arrevutajeno Napule. Traduzione

La traduzione letterale di questo proverbio è semplice. Una donna e un'oca misero a soqquadro tutta Napoli Il significato Il proverbio localizza l'evento nella sola città di Napoli. Da qui se ne deduce che è nato nella cittadina partenopea.

Il significato

Secondo le fonti tradizionali si tratta, però, di un fatto mai accaduto nella realtà ma inventato facendo riferimento all' idea antica che si aveva della donna. Sesso femminile visto come chiacchierone, rumoroso nel modo di parlare tanto da paragonarlo ad un'oca che starnazza. Secondo la tradizione popolare sarebbe addirittura in grado di demolire la tranquillità cittadina semplicemente facendosi accompagnare da un'oca. Insieme sarebbero in due a starnazzare e ci riuscirebbero. È chiarissima l idea sessista che si aveva della donna in questo proverbio. Per fortuna nei secoli certi pre-concetti sono cambiati sebbene viviamo in una società ancora profondamente maschilista. Tra le antiche espressioni "dedicate" alle donne intrise di sessismo rintracciamo ad esempio: Na vota è prena, ‘na vota allatta e nun ‘a pozza mai vattere 

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Mannà a accattà ‘o Tozzabancone: l’antico detto napoletano

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Tozzabancone

[caption id="attachment_443404" align="aligncenter" width="600"] Tozzabancone[/caption] Manna accattà 'o tozzabancone e 'o pepe. E' un antica espressione napoletana che di tanto in tanto nel corso della vita quotidiana abbiamo sentito pronunciare da qualcuno con qualche anno in più. Spesso senza conoscerne il significato moderno e nella maggior parte dei casi ignorando la storia che si cela dietro questa frase.

Manna accattà 'o tozzabancone e 'o pepe

Per comprendere il significato di questo detto partenopeo è necessario intraprendere un viaggio nel passato. Quando Napoli soprattutto nel Dopoguerra viveva in condizioni di povertà. Le famiglie si presentavano numerose. I figli considerati alla stregua di forza-lavoro, indispensabili per contribuire al bilancio familiare. Erano altri tempi, ormai passati. Ma è in questo periodo che nasce l'espressione. I genitori pur di trascorrere un po' di tempo in intimità a casa erano costretti a mandare un figlio a comprare il tozzabancone e il pepe.

Tozzabancone non esiste

In realtà il Tozzabancone non esiste. I genitori previo accordo con un bottegaio, complice della situazione, mandavano il figlio a comprarlo. O in alternativa il pepe. Il salumiere o macellaio di turno intratteneva il ragazzino in modo che marito e moglie potessero trascorrere dei momenti in libertà. Il bottegaio raccontava loro delle storie e alla fine era solito regalare dei dolciumi ai ragazzini che potevano successivamente tornarsene a casa felici per aver soddisfatto la richiesta di mamma e papà. E più sereni ancora i genitori che erano riusciti a godersi un momento di intimità.

Tozzabancone. Il significato moderno

Quando oggi si manda qualcuno a comprare il tozzabancone ha un chiaro intento: liberarsene. Non per trascorrere un momento di intimità con il partner ma, perché in quel momento ritiene inutile e/o fastidiosa la presenza di quella persona.

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Chello che vo’ Maria ‘o trova pa’ via: il significato del detto napoletano

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Sogni

[caption id="attachment_120938" align="aligncenter" width="600"] Chello che vo' Maria 'o trova pa' via[/caption] Chello che vo' Maria 'o trova pa' via. È un antico modo di dire napoletano ancora oggi in uso nel linguaggio colloquiale quando ci riferiamo al raggiungimento di un obiettivo. La traduzione in lingua italiana è piuttosto semplice: quello che desidera Maria, lo trova strada facendo. La scelta del nome Maria non è del tutto casuale, in quanto molto comune tra le donne quando nei secoli scorsi nasce il proverbio. Oltre ad agganciarsi ad un volere celestiale riferito alla Madonna che può realizzare i nostri desideri.

Il significato del detto

Il detto rispecchia il classico fatalismo che contraddistingue la cultura di molti napoletani. Non si attendono grandi fortune e ricchezze in tempi certi e immediati ma si rassegnano ad aspettare anche molto tempo prima di veder realizzate le proprie aspettative di vita, trovandole lungo la strada. La via indica il percorso della vita. I tempi di realizzazione non sono mai certi ma dipendono dal fato, quindi tanto meglio riporre la fretta in un cassetto e armarsi di pazienza che prima o poi accadrà quanto desiderato per tanto tempo.  

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Ce vo’‘a ciorta pure ‘a ffa ‘a zoccola: il significato del detto napoletano

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Ce vo' 'a ciorta pure pe ffa' 'a zoccola

[caption id="attachment_144741" align="aligncenter" width="600"] Ce vo' 'a ciorta pure pe ffa' 'a zoccola[/caption] Ce vo' 'a ciorta pure 'a ffa 'a zoccola È un antico detto popolare nato a Napoli nei secoli scorsi di frequente utilizzato nel linguaggio contemporaneo ogni qual volta si lega un evento al destino.

Ce vo' 'a ciorta pure pe ffa' 'a zoccola. Traduzione del detto popolare

Tradurre in lingua italiana il proverbio è semplice: ci vuole fortuna anche per riuscire a fare la prostituta.

La parola zoccola. Origine e significato

La parola zoccola ancora oggi si riferisce ad una donna di facili costumi, non necessariamente ad una prostituta. Nasce nel Settecento quando le nobildonne napoletane di via Toledo calzavano delle scarpe con un tacco dalla forma simile ad uno zoccolo. Degli zoccoletti. Così i loro lunghi vestiti non si sporcavano nel fango della strada. Negli anni a venire le prostitute dei Quartieri Spagnoli imitarono queste donne indossando delle scarpe simili chiaramente di fattura meno pregiata.

La parola ciorta. Origini e significato

Per quanto riguarda la parola ciorta, questa si riferisce al fato. Dal latino sors, cioè sorte. E la sorte, si sa, può manifestarsi benevolmente ma anche tradursi in eventi spiacevoli. Ha a che fare con il fatalismo tipico del napoletano che in molti casi della vita, lega la riuscita o meno di un evento desiderato al fattore fortuna/sfortuna. Il fato come la fortuna è cieco. Quindi anche per riuscire positivamente a fare la prostituta è necessaria la buona sorte.

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‘Nce vonno ‘e ferriette dinto ‘o naso: cosa significa il detto napoletano

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Nce vonno e ferriette dinto o naso

[caption id="attachment_444640" align="aligncenter" width="600"] Nce vonno e ferriette dinto o naso[/caption]

'Nce vonno' e ferriette dinto 'o naso. È una antichissima espressione napoletana usata nella contemporaneità spesso e volentieri riferendosi ai bambini.

La traduzione di 'Nce vonno 'e ferriette dinto 'o naso

La traduzione del detto napoletano è piuttosto semplice: ci vogliono i ferretti al naso.

Le origini e il significato

Il proverbio trae origine dal mondo contadino quando per domare grossi animali, in particolare i bovini, si utilizzava un anello di ferro applicato al naso soprattutto di vacche e tori. In dialetto napoletano l'anello era chiamato "ferrietto". In italiano nasiera. Attraverso questa applicazione in una zona sensibile per l'animale si riusciva più facilmente a controllarlo e calmarlo quando presentava condotte esagitate. Da qui quando si cita l' espressione ci si riferisce a bambini e ragazzini autori di una marachella o che presentano in alcune circostanze un comportamento insolente oppure ribelle come può capitare con le citate bestie.

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I detti napoletani sul pane: da mazza e panella a stammo a ppane ‘e grano

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pane

[caption id="attachment_19956" align="aligncenter" width="600"] pane[/caption] Detti napoletani sul pane. Alimento immancabile della tavola partenopea, nei secoli ha sviluppato la sua presenza anche nel linguaggio popolare. Pane che al Sud in particolare si contraddistingue per le sue tante varietà ed anche nelle espressioni dialettali si rintracciano una serie di frasi capaci di applicarsi alle più svariate situazioni di vita.

Detti napoletani sul pane e traduzione

'A speranza è o' pane d'e' puverielle
La speranza è il pane dei poveri che sopravvivono solo se hanno il pane
A chi me da ‘o ppane, je ‘o chiammo pate.
Il pane è come un genitore che ti dà vita.
Azzuppà ‘o ppane: calcare la mano.
 Fare la scarpetta: sfruttare un’occasione.
È meglio pane e cepolla ‘a casa toja ca galline e fasano ‘ncasa d’autre
Meglio un pranzo semplice a casa propria che galline e fagiani, ma sottomessi a casa d'altri.
Mazza e panelle fanno i figli belli, panelle senza mazza fanno i figli pazze.
Per educare ci vogliono le buone e le cattive maniere.
Stammo a ppane ’e grano.
Siamo in ritardo, ancora all’inizio dell'opera.
Settepanelle.
Misero servitore che si accontentava solo di una panella al giorno, sette alla settimana.
Sfrattapanella:sfruttatore.
‘O Pataterno dà ‘o ppane a chi nun tène ‘e diente.
Per compiere alcune azioni occorrono risorse e capacità che spesso hanno solo alcune persone.
Pane 'e nu juorno, vino 'e n'anno e guagliona 'e quinnece anne.
Per vivere bene, pane freschissimo, vino vecchio di almeno un anno e la compagna giovanissima.

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Me pare Baccalà ngoppo ‘è quartieri, se fa notte e nisciuno me ‘ncujeta

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Baccalà

[caption id="attachment_445067" align="aligncenter" width="600"] Baccalà[/caption] Me pare Baccalà ngoppo 'è quartieri, se fa notte e nisciuno me 'ncujeta. Si tratta di una antica espressione napoletana risalente agli anni '30 nata ai Quartieri Spagnoli di Napoli.

Traduzione, significato. La storia di Baccalà ngoppo 'e quartieri

La traduzione letterale è questa: "Mi sembri baccalà dei Quartieri, si fa notte e nessuno mi prende in giro". Baccalà è un personaggio che pare realmente esistito, additato con questo termine che in napoletano indica una persona stolta. Si dice che fisicamente fosse magro, con i capelli sempre sfatti e con i vestiti strappati. Era solito raccontare storielle ad alta voce. Gli abitanti della zona così cominciarono a prenderlo in giro e Baccalà divenne in poco tempo il "pagliaccio" dei Quartieri Spagnoli. Col passare del tempo la gente cominciò a perdere interesse e a volte di proposito qualcuno lo ignorava. Baccalà che non aveva amici ripeteva ad alta voce quello che oggi è un modo di dire pur di attirare l'attenzione dei passanti della zona. In realtà quando la gente lo prendeva in giro lui simula di prendersela a male ma la verità è che lo sberleffo del popolo rappresentava per Baccalà l'unico momento di considerazione da parte di altre persone. Per questo motivo oggi quando si cita questo detto si fa riferimento ad una persona strana, un pagliaccio che vuol mettersi in evidenza.

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Piscetiello ‘e cannuccia. Cosa significa e le sue origini

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pesce

[caption id="attachment_95128" align="aligncenter" width="600"] pesce[/caption] Piscetiello 'e cannuccia. Una espressione napoletana molto utilizzata nel linguaggio quotidiano arrivata nei secoli sino a noi grazie al suo significato facilmente adattabile per definire un certo tipo di persona.

Piscetiello 'e cannuccia. Traduzione e origini

La traduzione dell' espressione è piuttosto semplice: essere un pesciolino di cannuccia. Si fa riferimento al piccolo pesce da fiume che si può pescare in modo semplice. Può bastare, infatti, anche una piccola canna di fortuna con una mollica di pane per poterlo catturare.

Piscetiello 'e cannuccia. Significato

Riferito ad un soggetto si intende una persona che vale poco, facilmente abbindolabile proprio come il pesciolino del fiume che si lascia pescare facilmente. Rispetto alla figura del pesce, in dialetto napoletano rintracciamo un altro detto molto significativo: "Sie nu pesce pigliato c”a botta". Alcuni pescatori, per catturare i pesci più velocemente, effettuavano la cosiddetta “botta“ con un materiale semipermeabile che conteneva una sostanza a base di magnesio che a contatto con l’acqua esplodeva. Con l’espressione “Sie nu pesce pigliato c”a botta” si vuole indicare una persona senza “spina dorsale, moscia, simile al “pesce a broro“, pesce bollito sinonimo di mollezza. A differenza invece del “pesce ‘e cannuccia“, che si riferisce ad una persona stupida, ingenua, poiché il pesciolino viene pescato con un metodo estremamente facile.  

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Sie nu Rocco Falò: cosa significa il detto popolare del fantoccio tradito dalla moglie

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Sie nu Rocco falò

[caption id="attachment_445943" align="aligncenter" width="600"] Sie nu Rocco falò. Foto di www.barinedita.it[/caption] Sie nu Rocco falò. Antica espressione meridionale giunta fino a Napoli nel corso dei decenni. Ancora oggi in uso nel linguaggio dialettale e popolare tra le persone di una certa età. Il detto è utilizzato per riferirsi ad una particolare persona con un significato dispregiativo.

Sie nu Rocco falò. Traduzione e significato

La traduzione è piuttosto semplice. "Sei un Rocco al falò". Si indica una persona priva di personalità che si comporta secondo seguendo gli ordini dell'altrui volontà. Una sorta di fantoccio con scarso carattere.

Sie nu Rocco falò. Le origini del detto popolare

E proprio dal fantoccio si origina il detto popolare che nasce a Bari Vecchia quando nell'ultimo giorno della Festa di Carnevale veniva bruciato al falò un fantoccio dal nome Rocco. Costui, secondo la tradizione, era uno smidollato che aveva accettato di buon grado i ripetuti tradimenti della moglie. La sua maschera veniva arsa dopo una processione seguitissima ed esilarante, accompagnata da continui sberleffi per le vie del centro storico pugliese. Un funerale in piena regola. Tradizione ormai persa negli ultimi decenni ma che rimane immortale nel linguaggio con il suo significato.

Carnevale. Perché si fa il funerale

E nella tradizione del Carnevale Napoletano, c’è il rituale della morte e del funerale di Carnevale, oggi ancora intatto, che va in scena tra lamenti, urla e parolacce. In alcune frazioni di Napoli e provincia, tutta la cittadinanza partecipa al corteo funebre, con una cornice intorno molto pittoresca: un carretto a quattro ruote addobbato di fiori, salumi e salsicce esposti, lumini e candele accese, il tutto bardato da veli e fiocchi neri. Un modo per esorcizzare il passaggio dal vecchio al nuovo anno. Il carro viene trascinato a mano, da un uomo o da un asinello, e al suo interno viene posizionato un fantoccio, che rappresenta Carnevale morto. C’è chi gli dona il vecchio Frac, chi un abito consumato, chi un pigiama, abiti da lavoro; qui tutti si sbizzarriscono per fare bella figura in piazza e onorare la memoria del morto. Dopo la processione il fantoccio viene bruciato nel falò mentre la “festa” procede. Dopo la sua morte, Carnevale lascia speranze e progetti futuri, rappresentando l’alternarsi di gioia e dolore, vecchio e nuovo. Infatti chi lo segue in corte intonando un lamento tutto napoletano, auspica un ritorno beneaugurante di Carnevale nel futuro.

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Pare ‘o scemo ‘e Miano: origini e significato del detto popolare napoletano

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Pare 'o scemo 'e miano

[caption id="attachment_445903" align="aligncenter" width="600"] Pare 'o scemo 'e miano. Ex manicomio di Miano[/caption] Pare 'o scemo 'e Miano. Antico detto napoletano ancora oggi in uso nel linguaggio dialettale e popolare soprattutto a Napoli città. Poco conosciuto in provincia a causa delle origini del modo di dire.

Pare 'o scemo 'e Miano. Origini e significato

A Miano, quartiere della città metropolitana di Napoli, esisteva un ospedale psichiatrico. Quello che volgarmente chiamiamo manicomio, oggi è diventato un vecchio rudere abbandonato più volte depredato. Chiuso nel 1978 in seguito all'entrata in vigore della Legge Bisaglia che stabiliva la chiusura di tali strutture. In Campania ai tempi era molto noto quello di Aversa. Le persone che ne uscivano risultavano come imbambolate, inebetite dopo i severi trattamenti subiti a base di elettroshock e potenti sedativi. Per questo motivo quando si dice "pare 'o scemo 'e Miano" si vuole indicare una persona non particolarmente sveglia, a tratti apparentemente imbambolata nell'affrontare alcune circostanze semplici, tanto da ricordare i pazzi usciti dal manicomio di Miano.

Pare Baccalà ngoppo 'e quartiere

Dal significato simile ma con una storia molto diversa è il detto popolare "Pare Baccalà ngoppo 'e quartieri". Baccalà è un personaggio che pare realmente esistito, additato con questo termine che in napoletano indica una persona stolta. Era solito raccontare storielle ad alta voce. Gli abitanti della zona così cominciarono a prenderlo in giro e Baccalà divenne in poco tempo il “pagliaccio” dei Quartieri Spagnoli. Quando la gente lo prendeva in giro lui simula di prendersela a male ma la verità è che lo sberleffo del popolo rappresentava per Baccalà l’unico momento di considerazione da parte di altre persone. Per questo motivo oggi quando si cita questo detto si fa riferimento ad una persona strana, un pagliaccio che vuol mettersi in evidenza.  

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